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Le accadde

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Di  scivolare le accadde -

dal ciglio aperto incauta

al giorno …  di  scivolare

ruzzando come per gioco

dal riso della melagrana

nel cosmo cifrato dell’Altro  

E ivi - sorbita in un sonno di gemma l’ebbrezza dei cembali –

svegliarsi alterata

in ignoto mattino

 

Così la già imberbe da sempre

con intento di ladra fidente

il suo ingresso pagava

fingendosi mutila

nel munito universo

del demiurgo sovrano

creduto di genio celeste

 

Là su coste e bastioni erano

rune dorate e trionfi di roccia

ad annuire alla ratio  

di barbe rituali e di verghe

brandite a secondare il sapere

assestato sull’orma negata

dell’antico sciamano

Con sibili d’erbe e  fole di vento

il volere regale del  Padre

era sceso nei generanti

e per bocca di madri s’alzava

dall’ancestrale segreto

per sempre sui nati:

doversi il calore attenuare del sole

dentro l’oikia di fango

e farsi dell’ombra accorta estensione

sulla pupilla allungata

a bagnar di domande -

femminea! - le cose vietate

 

Dalle stanze opache dell’Orco

ai propilei ariosi d’Olimpo

alitando col passo il suo peplo

discende alla schietta loquela

di carde e telai per ordire

come schiava come Pitia e padrona

Col dorso nel vento

 sul lido di calce nei guazzi

alla roggia ancora amministra

con ruvide essenze il candeggio:

perché  tutta sia liscia

sia dolce sia buona sia vera

per l‘uomo sul talamo

la solita sera

 

Issato/abissato  il sole

più di quanti astri

si struggano nei cieli

impunemente - di te

poche ha cincischiato postille

la sua illetterata cadenza  

come per ignobile erba

e di tuoi frutti plebei

in quanto “semi imperfetti”

nemmeno ha tenuto

 conteggio

 

Dal pugno sublime del Padre

il Tempo declina/dipana  -

fu detto e non si desiste

Al Padre ancora s’avvolge

e  rivolge squisiti alfabeti  - 

come da specchio interposto

a figura  che divino decreto

esige si pavoneggi …

E forse un’ombra soltanto

accenna di te - se fosti al dio cara

se col lutto affliggesti il tuo re

se d’empietà moristi pentita

o se propiziasti immolata

alla tua pugnace genia

l’universo trionfo

della sua liturgia

 Anna Giordano - 17/03/2018 01:06:00 [ leggi altri commenti di Anna Giordano » ]

Una poesia di spessore, in cui la forza combattiva prevale, malgrado il volere di chi ha reso schiava la donna dei pregiudizi, creati con lo scopo di renderla colpevole di atti e peccati inesistenti, che le sono stati addebitati, solo per tenerla legata all’obbligo di dover sottostare all’artificiosa supremazia maschile. Complimenti sinceri.

 Loredana Savelli - 16/03/2018 18:14:00 [ leggi altri commenti di Loredana Savelli » ]

Scrittura levigatissima per un materiale arduo. Grande padronanza!

 Bianca Mannu - 16/03/2018 10:48:00 [ leggi altri commenti di Bianca Mannu » ]

Composizione inedita postata per segnalare l’8 marzo nel mio blog, ma che intende travalicare ogni senso celebrativo. Preceduta da una nota che in gran parte riporto qui per sottolineare ancora la valenza non disimpegnata dell’opera letteraria, che non vuole schiacciarsi sulla cronaca,ma neanche consegnarsi marmorea e coatta bellezza cimiteriale.
Questo è anche " un modo per dire a noi stesse che ci siamo e contiamo, vogliamo contare, vogliamo decidere, vogliamo essere soggetti non assoggettati.
Qualcosa di tremendo è successo contro di noi e con la nostra complicità: ci hanno modellato per fini su cui non siamo state interpellate, che abbiamo accettato come un marchio a fuoco che era e ancora è
dentro di noi come senso acquisito pressoché indiscutibile, perché rinforzato dai sistemi storico sociali e innervato come psicologia di genere.
La violenza privata e fuori scena è solo l’emersione conclamata e resa visibile da alcune conquiste giuridiche raggiunte con difficoltà e sempre sull’orlo di essere ridotte o denegate anche e sopra tutto con la complicità della nostra funzione vicaria: assumere e compiere i ruoli di feroci guardiane della tradizione, il cui dettato è patriarcale e sistemico. Esso ci ha dimensionato e inscritto come genere subalterno anche nel nostro inconscio. La nostra auto percezione assomiglia molto alla sindrome di Stoccolma, cioè all’amore subalterno e sadico-masochistico che lega la vittima ai suoi persecutori, con quell’effetto di ritorno per cui l’ordine maschile patriarcale trae legittimazione e autoreferenzialità dalla subalternità dei vittimizzati.
A chi ha curiosità di leggere dedico questa composizione che vuole stimolare qualche riflessione"

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